Le cose – si diceva – invadono lo spazio fisico in maniera conflittuale, ma tale da renderlo sensibile e vitale.
Potremmo meglio dire che esse sono il presupposto per l'apparizione dello spazio, perché questi si evidenzi e si renda percettibile alla nostra ricognizione visiva. Lo spazio, quindi, a seguito dell'invasione delle cose, emerge e si evidenzia restandone modulato e strutturato in ogni senso, ma soprattutto in senso estetico.
Le cose, poi, al loro limitare periferico, allorché incontrano lo spazio, danno vita ad un fenomeno percezionale che appelleremo "segno della cosa". Questo 'segno', d'altro canto, connota la 'cosa' in maniera estetico-formale, unica ed irripetibile che, per tal verso, si mostra ricevibile dal nostro senso della vista.
Ma anche ciò che riempie la 'cosa' contribuisce a determinare con la sua conformazione – più o meno estesa – il confine della 'cosa' stessa, cosicché il 'segno' che ne discende sarà il distintivo che la caratterizza e la rende reale a quelle circostanti, in un silenzioso gioco ripieno di mutuo rispetto estetico-relazionale.
E' inevitabile che l'azione del vedere obblighi l'occhio a fissare un solo punto della "cosa guardata" ignorando il resto della sua estensione che da quel punto si diparte. Sappiamo bene, però, che ciò avviene per via della struttura fisiologica della vista costretta, come dire, a mettere a fuoco un punto per volta della 'cosa' stessa. Sappiamo anche che nel mentre non è possibile fissare contemporaneamente più punti, pur tuttavia non ignoriamo, non scartiamo a priori gli altri e, quindi, la consapevolezza che abbiamo della loro esistenza e della loro effettività; cosicché diremo che non con l'occhio, ma con la mente operiamo panoramicamente su quel "reale mostrato".
Non v'è dubbio, tuttavia, che ogni singolo punto percepito attiva il giudizio e che, di conseguenza, l'attivarsi di questi ha luogo nell'istante esatto in cui inizia il mostrarsi di quel punto e poi un altro ancora, il tutto in un complesso gioco di istantanei rimandi.
Occorre, altresì, ribadire che nessun giudizio si genera da sé stesso se non v'è nozione od essenza da cui e su cui orientarlo; non è, infatti, possibile immaginare una realtà aliena, diversa da quella che si genera col trascorrere degli istanti temporali.
Dalla consapevolezza di un tale processo all'analisi critica istituita su un determinato lavoro artistico ritenuto sommariamente ripetitivo di un altro con impaginazione e tematica analoga, il passo è breve e giova qui semplicemente osservare che due oggetti, due pensieri non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio e lo stesso istante di tempo. |
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Things – they used to say - are invading the physical space in a conflicting way, but they make it sensible and vital.
To be more exact, we could say that things are the premise for the space to appear, to become evident and perceptible to our visual reconnaissance. Therefore, owing to the invasion of things, space looms, comes out and is modulated and structured in every sense, but above all in the aesthetic one.
In their turn, things, when meeting space at their peripheral outskirts, give life to a perceptual phenomenon that we'll call "sign of the thing." This sign, on the other hand, describes "things" in an aesthetic-formal way, that is unique and unrepeatable, and can be received by our sense of sight.
But even what fills the 'thing' helps to determine by its more or less wide shape, the boundaries of the thing itself, so that its "sign" will become the distinctive character that makes it real in front of the surrounding things, in a silent play full of mutual aesthetic-relational respect.
Unavoidably, the action of seeing compels the eye to look only at one point of the thing, neglecting the rest of its extension which starts from that point. However, we know very well that all of this is happening only because of the physiologic structure of sight, that can focus only a point at a time. We also know that while it is impossible to look at two points simultaneously, nevertheless we don't discard a priori all other points, nor the awareness we have of their existence and effectiveness. We can say that we are working panoramically on the "showed real" not with our eye but with our mind.
There's no doubt, however, that every single perceived point awakens judgment at the very moment in which it shows itself, and then another point follows, in a complex game of instant references.
We must go over and over again the statement that no judgment can generate itself, if there isn't any action or essence on which it can get its bearings. It's impossible to imagine an alien reality, different from the one that is generated as temporary moments are rolling by.
From the awareness of such a process, to the critical analysis of a given artwork hastily considered a repetition of another one with analogous layout and theme, there's but a step. It's useful now to observe that two thoughts can't occupy simultaneously the same space and the same time. |
